Dalla Prima moltiplicazione dei pani alla Resurrezione di Lazzaro

01.03.2025

Resurrezione di Lazzaro, miniatura dal codice De Predis




01.03.2025 #religionecattolica

Estratto dal Libro Trinoteuco tomo I; Ia edizione 01-2024 Gedi Digital; ISBN 979-12-22802-70-1
Capitolo VIII – La Divinità nel suo svelarsi (parte II), pag. 105>108.




Dalla Prima moltiplicazione dei pani alla Resurrezione di Lazzaro


La prima moltiplicazione dei pani e altri episodi:

Il miracolo della prima moltiplicazione dei pani è riportato con leggere differenze dai quattro evangelisti, Gv 6,4 lo colloca temporalmente in prossimità della seconda Pasqua secondo il suo vangelo. Tutti gli evangelisti lo identificano come il miracolo dei cinque pani e due pesci che sfamarono cinquemila persone. Gv 6,14.15 testimonia che compresa la grande portata del miracolo le folle volevano rapirlo per farlo re, allora Gesù sapendolo si sposto sul monte da solo per impedirlo. Segue l'episodio del miracolo di Gesù che cammina sulle acque, riportato da Matteo, Marco e Giovanni.
Questi episodi evidenziano la grande misericordia di Gesù, ma nello stesso tempo anche la sua capacità di attrarre immense folle. Queste persone, tuttavia, come egli ben sa, lo seguono nella maggior parte per fame o per guarire dalle malattie o essere liberati dalle possessioni demoniache. Quindi dopo avere attratto questa grande folla, anche con il miracolo del camminare sulle acque, rientra a Cafarnao nel pomeriggio.

Nella Sinagoga inizia il suo discorso affermando la necessità che si creda in lui, ricollegandosi a Gv 5,9.47 come per riprendere e completare il precedente insegnamento. Le domande che i Giudei gli pongono lasciano capire che essi non credono in lui e che lo seguono perché interessati ad un pane materiale. 
Allora Gesù fa un discorso escatologico sul motivo della sua venuta e della sua prossima morte, che è pronunciato provocatoriamente con una cruda esposizione della futura Eucaristia come via per la salvezza. Essi dovranno mangiare il suo corpo e bere il suo sangue. Pochi rimarranno, per la maggior parte tale discorso viene ritenuto troppo duro, e persino alcuni discepoli lo lasciano.

Gv 6,63: È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova (a) nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e vita. 64Ma vi sono alcuni tra voi che non credono». Gesù, infatti, sapeva fin da principio chi fossero i non credenti e chi era colui che lo avrebbe consegnato. 65E continuò: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è stato concesso dal Padre».

Gesù è pane di vita eterna, ma questo pane è solo per chi lo ama profondamente ed avendo piena ed assoluta fede in lui può affrontare qualsiasi cosa. Lo scrollone che dà alla folla che lo segue serve a lasciar cadere coloro che per debolezza erano destinati ad abbandonarlo alle prime difficolta. Essi, infatti, erano come il seme caduto sui terreni pietrosi o tra le spine e non avrebbero portato frutto.


La resurrezione di Lazzaro e la condanna a morte di Gesù, Gv 11,1.54

Subito dopo la Festa della Dedicazione Gesù esce dalla Giudea, perché lì avevano cercato di arrestarlo, e passato sull'altra riva del Giordano si fermò con i discepoli ad Ainòn nella Decapoli, nel luogo dove Giovanni aveva battezzato. Lì molti lo raggiunsero e credettero in lui (Gv 10,39,42).

Da Betania, mentre, arrivò a Gesù la notizia da parte di Marta e Maria che il fratello Lazzaro era malato; Maria puntualizza l'Evangelista è la donna che cosparse Gesù di profumi ed aveva asciugato i suoi piedi con i capelli. Gesù allora disse ai discepoli che quella malattia arrivava non per portare la morte ma bensì la gloria di Dio: affinché per mezzo di essa il Figlio fosse glorificato (Gv 11,1.7). Per questo motivo bisogna ritardare la partenza, quindi, trascorsi due giorni Gesù dice di tornare in Giudea, provocando la reazione difensiva dei discepoli che temevano per la sua e la loro vita. Gesù approfitta per insegnare ai discepoli che non devono avere paura di camminare nella luce ma bensì di procedere o restare nelle tenebre. Bisognava ora muoversi per andare in soccorso del comune amico per portargli la luce e la vita. Tommaso detto Didimo, allora, voltosi verso i condiscepoli li incitò dicendo: «Andiamo anche noi a morire con lui.». Quando Gesù arrivò a Betania, che si trovava a circa quindici stadi (tre chilometri) da Gerusalemme, l'amato amico Lazzaro stava già nella tomba da quattro giorni (Gv 11,8.18).

Da questo momento il tema della morte e resurrezione diverrà ricorrente. 
L'episodio, avvenuto circa tre mesi prima dalla terza e decisiva Pasqua, ne è preparatorio ma anche allusorio, una sorta di indicazione per i discepoli di cosa sarebbe successo dopo la sua crocefissione. 
Anche lo svelamento dell'identità della peccatrice che con i suoi capelli aveva asciugato i piedi di Gesù dopo averli profumati rimanda all'unzione in Betania. Nello stesso tempo Gesù sa che, come la sua, anche questa resurrezione attirerà moltissimi e tra questi tanti crederanno per la gloria di Dio. Durante l'incontro con Marta, Gesù rivela di essere egli stesso la resurrezione e la vita e che chi crede in lui non morirà mai. Marta risponde prontamente di credere e si avvia ad avvisare la sorella che raggiunge Gesù. Infine, tutti seguiti da molti amici e Giudei si recarono al sepolcro. Gesù vincendo la reticenza di Marta, che asseriva che il cadavere già puzzava, ordinò ti togliere la pietra innanzi al sepolcro. Il pianto e la commozione dei familiari e degli amici coinvolge anche Gesù riempiendolo di una forte emozione interiore. Gesù prega e ringrazia Dio per averlo esaudito, mostrando quindi agli astanti il suo diretto rapporto col Padre e ordinò a gran voce: «Lazzaro vieni fuori!». Uscì il morto, legato piedi e mani con bende, e il suo volto con un sudario. Gesù dice loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare» (Gv 11,19.44).

Molti credettero, ma alcuni farisei avvisarono i Sommi Sacerdoti e riunirono il Sinedrio. Il sinedrio prese atto dei molti segni che Gesù aveva fatto; adesso avevano coscienza che Dio era certamente con lui. 
Considerarono, allora, che ben presto, così continuando, tutta la nazione lo avrebbe seguito, furono presi da grande timore e temettero per l'intera nazione (Gv 19,45.48). Avvertirono che Gesù minava il loro potere e temevano, inoltre, che perdendo il controllo della situazione i romani sarebbero potuti intervenire distruggendo la nazione. D'altro canto, si può ritenere che la maggior parte dei membri del sinedrio non conoscessero bene la predicazione di Gesù, o che comunque non l'avessero compresa. Quindi, le problematiche sollevate, sulla famiglia, sul saboto, sul digiuno, sulla purità, sul Tempio e tanto altro, ritennero che minassero la stabilità della nazione. Ciò aveva messo in subbuglio le loro menti. Anche la diffusa credenza nell'attesa di un Messia guerriero e liberatore, secondo le aspettative giudaiche, può avere intimorito il Sinedrio. Certamente la paura che si diffonde all'interno di un gruppo di persone esagitate può auto alimentarsi ed ingigantirsi. Questo è pur vero, tuttavia, appare irrazionale il timore che i romani potessero distruggere Gerusalemme e il Tempio o l'intera nazione senza che vi fosse una vera guerra. Che vantaggio ne avrebbero avuto?

L'Evangelista redattore del testo, suggerisce una soluzione che necessita, però, una interpretazione escatologica dei fatti, Gv 11,49.54: 49Ma uno tra loro, Kaifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse a loro: «Voi non capite niente 50né mettete in conto che a noi conviene che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca intera la nazione». 51Questo però non (lo) disse da sé stesso, ma essendo sommo sacerdote quell'an­no, profetizzò che Gesù stava per morire per la nazione 52e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme nell'unità i figli di Dio che erano dispersi. 53Da quel giorno, dunque, deliberarono di farlo morire. 54Pertanto, Gesù non camminava più liberamente tra i Giudei, ma da lì partì per la regione vicino al deserto, in una città chiamata Efraim, e lì rimase con i discepoli.

I versetti 49.50 espongono una soluzione brutale che i versetti successivi chiariscono come un mero pensiero e intendimento del Sommo Sacerdote, che viene messo in atto usando lo stesso messaggio escatologico di Gesù. Come se la sentenza in fondo in fondo servisse a realizzare ciò che lo stesso condannato predicava di voler fare: morire per la salvezza della nazione e di tutti i figli di Dio. L'Evangelista testimonia, con questa finale, la grande ipocrisia che possedette i Sacerdoti e dottori della legge che condannarono Gesù prima che si svolgesse un processo, in contrasto con la Legge mosaica (Dt 1,17). Tale violazione mette in luce che il successivo processo sarebbe stato soltanto una formale montatura. Per una straordinaria determinazione divina, e non certo ironia della sorte, però nello stesso tempo, il Sommo Sacerdote divenne inconsapevole profeta e testimone del valore salvifico universale della morte di Gesù. Bene e male convergono e si piegano alla volontà divina. L'agire di Dio è spesso imperscrutabile agli uomini, ma qui l'Evangelista mostra anche l'ineluttabilità dell'Escatologia messianica, tutto è nelle mani di Gesù e tutto si incanala verso la direzione che lui persegue.


Claudio Gualtiero Maria Sala