La Preghiera

18.01.2025

Orazione nell'Orto degli Ulivi, miniatura


18.01.2025 #religionecattolica


La Preghiera

Estratto dal Libro Trinoteuco tomo I; Ia edizione 01-2024 Gedi Digital. ISBN: 979-12-22802-70-1
Capitolo VI – Le Sacre Scritture e l'archetipo del Regno di Dio (parte III), pag. 84>90.


I versetti Mt 6,1.4 insegnano a fare l'elemosina in segreto e non certo in pubblico per averne vanto tra gli uomini. Solo in tal modo, infatti, ne avremo ricompensa dal Padre. Essa introduce e prepara alla successiva preghiera.

Mt. 6,5.6: E quando pregate non siate come gli ipocriti, perché amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per mostrarsi agli uomini. In verità, vi dico, ricevono la loro ricompensa. Invece quando tu preghi, entra nella tua camera e, avendo chiusa la tua porta, prega il Padre tuo quello nel segreto; e il Padre tuo che ti vede nel segreto ti ricompenserà.

Tra i vari insegnamenti di Gesù nel discorso della montagna Matteo, nel suo Vangelo, riporta anche quello sulla preghiera, diversamente l'evangelista Luca lo inserisce come episodio a parte ma avvenuto in circostanze simili. In Matteo, Gesù inizia la sua catechesi sulla preghiera raccomandandoci di farla in segreto e quindi da soli con Dio, giacché egli ha con ciascuno di noi un rapporto diretto ed esclusivo. Poi, rivolgendosi ai discepoli introduce il Padre nostro, che è una preghiera che può essere recitata insieme nella comunità dei battezzati e convertiti, vale a dire i figli di Dio.

Allora, coerentemente, dobbiamo intendere che le preghiere personali di ogni giorno, che portano le nostre emozioni e richiedono di esplicarsi in un'atmosfera di confidenza e di segreto tra Padre e Figlio, sono quelle che dobbiamo fare da soli. Vi sono invece preghiere che, soprattutto nel rito eucaristico e nelle cerimonie o nelle riunioni tra fedeli, richiedono una partecipazione comune per comunità d'intenzioni e di azioni. Tutto, ovviamente, deve svolgersi nel rispetto della prescrizione della sinteticità e semplicità, senza volersi mettere in mostra ma con spirito comunitario di condivisione della grazia e anche dei nostri umani problemi. D'altro canto, la preghiera comune sotto la guida della Chiesa, così com'è stato per il Padre Nostro di Gesù, esplica una funzione di orientamento comune. Ciò evita un eccessivo personalismo nella preghiera, che potrebbe portarci a idealizzare un Dio eccessivamente personale e non aderente alle Sacre Scritture. La preghiera personale può comunque essere orientata secondo le esperienze canoniche e di fede avute. Come si può facilmente capire, sarebbe opportuno cercare di ordinare anche la preghiera individuale in maniera adeguata. Vale a dire con un impianto unitario, organizzato a ottenere una adeguata partecipazione spirituale ed emotiva. 

Si possono a tal fine evidenziare tre principali livelli di preghiera:

Il primo, semplice e primitivo, formato con preghiere di saluto e introduzione al mistero della fede, cui fanno seguito le richieste personali. Nel secondo livello si aggiungono le intenzioni per l'interesse generale. Al terzo e più profondo livello di preghiera si introducono l'ascolto della parola del Signore con la lettura di lezioni dalla Sacra Bibbia e il silenzio meditativo. In questa fase della preghiera ci si affida completamente a Dio, secondo il suggerimento del Vangelo.

L'atteggiamento che dobbiamo avere Gesù lo suggerisce in Lc 22,42: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però, non la mia volontà, ma la tua sia fatta» (similmente testimoniano Marco e Matteo); pronunciamo il passo nell'intimità del nostro cuore. Le sue vie sono imperscrutabili e di certo migliori delle nostre, lasciamo fare a Lui. Se sarà Lui a guidarci, le ansie ci abbandoneranno, saremo pervasi da una gran quiete interiore che sapremo trasmettere anche agli altri e, se dovremo, attraverseremo con il conforto della fede il nostro momento più buio. A poco a poco, entreremo in intimità d'amore con Lui e allora ci formerà e correggerà, trasformandoci sino alla santità. 

Vi sono poi altre forme di preghiera meditativa, come quella in solitudine ascetica o nei conventi e monasteri. Vi è poi la Transverberazione, che è una forma di Agape non raggiungibile dalla nostra sola volontà, esso è, infatti, uno stato di grazia che è dono personale di nostro Signore. In tale stato la persona vive simbioticamente la vita di Cristo, percependo le sue sofferenze e gioie. 

Noi, però, dobbiamo solo pregare, sperare e attendere, ricordando quel che San Paolo ci insegna, come ciò che è più prezioso a Dio in 1Cor 13,13: la fede, la speranza e l'agape; ma la più grande di esse è l'agape. Nell'attendere non dimentichiamoci, dunque, di perseguire la carità e l'amore insieme alle nostre preghiere, giacché l'agape è preghiera dell'agire e ci predispone nei fatti alla comunione con Dio: 1Cor 13,1.8 Se anche parlo le lingue degli uomini e degli angeli, ma non ho l'agape, sono un bronzo rimbombante o un cimbalo strepitante. E se anche ho (il dono della) profezia e conosco tutti i misteri e tutta la scienza, e, se anche possiedo tutta la fede, sì da spostare (le) montagne, ma non ho l'agape (amore - carità), sono niente. E se (anche) do in cibo tutte le mie sostanze, e se (anche) do il mio corpo per averne vanto, ma non ho (l')agape, non mi giova a nulla. L'agape è paziente, è benevola l'agape; non invidia, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male (ricevuto), non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità; tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. L'agape mai manca.

L'agape è comunione con Dio ed è il dono che egli fa a chi lo ama e ha fede in Lui, con essa ci perfeziona nel suo amore e ci mette in sintonia con la giustizia divina. In tal modo veniamo in possesso della capacità disinteressata di amare e donarci all'altro, il prossimo, e di entrarvi in comunione fraterna.

In sintesi: La comunione d'amore con Dio si rivela nel possedere o meno la carità nella sua forma più pura e perfetta.

Vi sono uomini buoni, capaci di grandi gesti d'amore, caritatevoli e generosi, tuttavia senza fede e amore in Dio. Certo, Dio li ama, tuttavia non sono in agape con Lui, non sono del suo gregge, non convertono altre anime alla fede in Lui. Non la legge, non le opere, ma solo la fede in Dio ci salva! Questo afferma impetuoso e con potenza espressiva San Paolo, volendo però implicitamente significare che prima bisogna amare Dio per conformarsi a Lui. Dopo e soltanto dopo, allora, le opere e l'osservanza della legge gli saranno gradite. Quindi, non perché nostro merito di fronte agli uomini, a cui queste cose sono dovute, ma perché testimonianza viva della presenza di Cristo in noi. In tal modo la nostra intera vita è essa stessa preghiera.

Nella Chiesa i fedeli sono Corpo di Cristo, vale a dire sono in agape con Lui e tramite Lui con i fratelli. In essa dobbiamo operare mantenendone saldi i quattro cardini dell'agape che la reggono: Annunziare il Vangelo; Comunione fraterna; Eucaristia; Preghiera.

Il Padre Nostro

Tornando alla preghiera lasciataci da Gesù, possiamo adesso meglio comprendere che essa è in maggiore misura preghiera comunitaria, preferita per la liturgia nella forma di Matteo:

Mt 6,7.13:

Pregando poi, non blaterate come i gentili, credono, infatti, che saranno ascoltati per la loro prolissità. Non siate dunque simili a loro, il Padre vostro sa di cosa avete bisogno ancor prima che voi glielo chiediate.

Voi dunque pregate così:

Padre nostro che sei nei cieli,

sia santificato il tuo nome,

venga il tuo regno,

sia fatta la tua volontà,

come in cielo così in terra.

Il nostro pane per domani da a noi oggi,

e rimetti a noi i nostri debiti,

come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori,

e non ci condurre nella tentazione,

ma liberaci dal maligno.

Lc 11,2.4:

Allora disse loro:

Quando pregate, dite;

Padre,

sia santificato il tuo nome,

venga il tuo regno;

il nostro pane per domani,

da' a noi giorno per giorno

e perdona a noi i nostri peccati,

giacché anche noi perdoniamo

ad ogni nostro debitore

e non ci condurre nella tentazione.

NB: La Didachè in 8,2 testimonia che era in uso concludere le preghiere con un sigillo che poteva essere libero o fisso. Per il Padre Nostro il sigillo divenne fisso all'inizio del II secolo, ed era: "Poiché tua è la potenza e la gloria nei secoli." (Ὅτι σοῦ ἐστιν ἡ δύναμις καὶ ἡ δόξα εἰς τοὺς αἰῶνας.)

Il Padre Nostro è una preghiera a contenuto escatologico che si sviluppa in un cappelletto invocatorio iniziale, che individua il destinatario dell'orazione, e in cinque richieste a lui rivolte dagli oranti, più due chiarimenti in Matteo. Partendo dal testo greco più antico di Matteo si riporta la traduzione in italiano:

- Padre nostro - Πάτερ ἡμῶν:

Con queste parole iniziali, Gesù manifesta la paternità di Dio ai discepoli, facendo loro dono dello straordinario legame filiale che ne consegue. Luca riporta solamente: Padre - Abba΄ - Πάτερ.

Questi è un genitore unico, è il creatore di tutte le cose e i credenti che sono i suoi figli nella sua paternità diventano tutti fratelli. Dio, quindi, è il Padre che ci unisce nella fratellanza e in un modo particolare di amarlo e di amarci l'un l'altro, con la stessa cultura dell'amore che si chiama Cristianesimo.

Una cultura che deve passare, quindi, attraverso Gesù Cristo, giacché questa paternità ci arriva solo attraverso l'accoglimento pieno della fratellanza con Lui e con tutti gli uomini.

Mt 12,46.50 Mentre egli ancora parlava alle folle, ecco, fuori sua madre e i suoi fratelli stavano cercando di parlargli. Qualcuno allora gli disse: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli fuori stanno cercando di parlarti». Egli, allora, rispondendo a chi gli parlava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». E avendo steso la mano sui suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chiunque, infatti, fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è mio fratello, sorella e madre». Mt 23,9: E non chiamate "Padre" (nessuno) di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste.

- che sei nei cieli, - ὁ ἐν τοῖς οὐρανοῖς·:

Indica uno spazio che non è la terra e che è raffigurato come luogo che sta al di sopra di noi, nel senso spirituale e figurativo.

- sia santificato il tuo nome, - ἁγιασθήτω τὸ ὄνομά σου·:

Dio, rivelandosi all'uomo, si è esposto alla blasfemia, alla bestemmia ed ai comportamenti anticristiani, noi quindi santifichiamo il suo nome. L'invocazione riprende il passo esposto in Ez. 36,23.

- Venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.

ἐλθέ τω ἡ βασιλεία σου· γενηθήτω τὸ θέλημά σου, ὡς ἐν οὐρανῷ καὶ ἐπὶ γῆς·:

L'uomo, nel cui animo si è instaurata la Signoria di Dio, soffre grandemente per la mancanza di Giustizia nel mondo.

Si sente povero e afflitto, prega che i giorni della sofferenza siano accorciati.

Allora, prega affinché Dio instauri al più presto il suo Regno e così, finalmente, nel realizzarsi la sua volontà/giustizia, anche sulla terra, oltre che nei cieli, l'uomo sarà finalmente liberato dal male.

Luca non riporta la seconda parte della frase, che esprime ciò che è conseguenza della prima "Venga il tuo regno".

- Il nostro pane per domani da a noi oggi

τὸν ᾄρτον ἡμῶν τὸν ἐπιούσιον δὸς ἡμῖν σήμερον·:

Non si vive di solo pane! Nella domanda, pertanto, è compreso il pane della vita, cioè Lui stesso. Per questo motivo questa preghiera è inserita nel rito eucaristico.

Bisogna, però, aggiungere che il pane non può essere una richiesta individuale è invece richiesta nostra.

Pertanto, il pane, sia esso materiale sia spirituale, è per tutti e deve essere condiviso con tutti, è la Basilea terrestre o Signoria di Dio. A nessuno sulla terra deve mancare il pane! Questo pane è per ogni giorno, oggi te lo chiediamo sufficiente anche per domani, o Dio, ma anche domani te lo chiederemo, ed esso anche domani non potrà mancare a nessuno sinché non verrà il Regno.

In tal senso si può tradurre pane "quotidiano".

- e rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori,

καὶ ἄφες ἡμῖν τὰ ὀφειλήματα ἡμῶν, ὡς καὶ ἡμεῖς ἀφήκαμεν τοῖς ὀφειλέταις ἡμῶν·

La richiesta di perdono per i nostri peccati non può essere accolta se noi non abbiamo perdonato ai nostri fratelli.

- e non ci condurre nella tentazione, ma liberaci dal male (maligno).

καὶ μὴ εἰσενέκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν, ἀλλὰ ῥῦσαι ἡμᾶς ἀπὸ τοῦ πονεροῦ.

Luca 11,4 riporta solamente "e non ci condurre nella tentazione", il significato rimane lo stesso, in quanto la seconda parte della frase è sostanzialmente esplicativa della prima. È interpretazione corrente che Dio non induca in tentazione, giacché, veterotestamentariamente, egli si limita a concedere al demonio che lo faccia, pur avendo ovviamente il potere di impedirlo, nel senso di non si muove foglia che Dio non voglia (Gb 1 a 42). Pertanto, il CEI in BJ 2008 traduce:

non abbandonarci alla tentazione, nel senso: "accorcia i giorni della prova".

Tuttavia, εἰσενέκῃς viene da εἰσφέρω che si traduce portare dentro o introdurre o proporre, pertanto, la traduzione aderente al testo, che ci costringe a scrutarne il senso attraverso il VT è: non ci condurre nella tentazione.

Preferisco condurre a introdurre o portare dentro perché ci si avvicina eufonicamente a quell'indurre a cui da secoli siamo stati abituati.

Le traduzioni non abbandonarci o la più corretta non farci entrare sono linguisticamente accettabili, ma nella semplificazione del significato fanno perdere il legane arcaico che il testo greco possiede col VT.

Questa preghiera è, ovviamente, riservata a coloro che si sono convertiti e battezzati. In Matteo, Gesù la insegnò, infatti, solo ad Apostoli e Discepoli, facendo il discorso della montagna. Luca 6,17.49, che pure riporta tale discorso, ma fatto in pianura ed alle folle, non testimonia lì il Padre Nostro, le folle, infatti, non erano ancora battezzate e convertite, e Gesù le ammonì pertanto con i guai/οὑαὶ.

Apostoli e poi i Padri della Chiesa hanno mantenuto tale uso sino ad oggi, esso è testimoniato nella Didaché, anche detta Dottrina dei dodici Apostoli, che risale intorno agli anni 60>100 d.C. ed è riportato anche dalla Patristica più antica nell'ultima delle famose ventiquattro catechesi di Cirillo di Gerusalemme (350 e.c.).

Questa preghiera fu poi inserita all'interno della Liturgia Eucaristica - Missa fidelium, battezzati.

Seguono i versetti Mt 6,14.15 con cui Gesù sottolinea e ribadisce come il Padre non rimetterà i peccati a chi non li avrà rimessi agli uomini. Completano il capitolo i versetti Mt 6,16.18 sul digiuno, che spiegano come anche questo vada fatto nel segreto col Padre affinché non se ne abbia vanto tra gli uomini.

Elemosina, preghiera e digiuno formano così la base per porsi in Agape col Padre Celeste. Tre elementi, questi, che in tutt'uno col Padre Nostro sono presenti nella Liturgia Eucaristica cattolica.

In relazione alla diversità dei due testi di Matteo e Luca possiamo spiegare quanto segue, grazie agli eminenti studi di esperti. Luca propone la forma del testo sintetico che rispecchia la determinazione gesuana di brevità e semplicità. Il testo di Matteo, invece, preferito nella liturgia, si ritiene possa essere stato ritoccato nella lunghezza in funzione di quest'ultima. Tuttavia, dall'approfondito studio del testo greco, risulta evidente che nelle parti non aggiunte esso è non solo il più antico, ma anche quello che lascia trasparire il diretto legame con il logos aramaico che Gesù parlava. Ad esempio, Matteo testimonia la parola ὀφειλήματα che può essere tradotta solo con debiti riprendendo evidentemente dall'aramaico dove il significato del termine ḥôbā᾽ poteva essere debiti ma anche peccati. Luca invece, volendo trovare il termine greco che traducesse peccati usa il termine ἁμαρτίας.

Ancora, in Matteo abbiamo: Il nostro pane per domani dacci oggi; mentre in Luca abbiamo: il nostro pane per il domani da' a noi giorno per giorno.

È evidente che Luca tenta di chiarire che il pane richiesto è per ogni giorno, cioè quotidiano.

Tuttavia, si può notare come le parole ogni giorno (o giorno per giorno) rendano superflua la precedente parola quotidiano o per il domani, avendosi sostanzialmente una ripetizione del senso come quotidiano. In tal modo si perde la forza di quella richiesta imperativa presente in Matteo: dacci oggi, dove oggi e domani si giustappongono efficacemente, nella richiesta del pane che è soprattutto quello della salvezza. Ad esso apostoli e discepoli possono accedere, ora e subito, grazie alla filiazione col Padre donata da Gesù ed accolta con la conversione e il battesimo. Anche il termine παντὶ/ad ogni in Lc 11,4 è stato aggiunto per evitare che si potesse interpretare che la remissione dei debiti/peccati potesse essere riservata ad alcuni e non a tutti. Possiamo concludere che il Padre Nostro di Matteo riporta il testo più antico nelle parti dei versetti che coincidono con quelli di Luca. Il testo di Luca nella sua forma autenticamente gesuana presenta però un testo greco che, nel tentativo di chiarire meglio il Kerygma, rimuove le tracce residuali di un precedente logos aramaico.

Considerazioni

La natura umana è fatta di elementi che si scontrano. Pertanto, gli insegnamenti di Gesù sono come la lanterna che nella notte indica la Via. Apostoli, discepoli e santi di Dio devono essere quella luce, che ben posta in alto, deve squarciare il buio nel mondo. Quello che realizziamo, però, talvolta supera la nostra volontà, talvolta, invece, ogni sforzo sembra infrangersi come l'acqua scagliata da una tempesta sugli scogli.

Pertanto, quello che conta veramente è il sentimento che è dentro di noi.

Ciò che vogliamo veramente, nella profondità del nostro cuore, conta più di ciò che riusciamo a realizzare. La qualità delle nostre intenzioni è ciò che conta veramente. In essa, infatti, si manifesta il vero nostro essere, la qualità nuda del nostro spirito. Solo quando otterremo che lo Spirito Santo penetri in pienezza dentro di noi, anche noi, come i suoi santi, saremo perfetti e luce del mondo.

Aggiungo per chiarezza teologica che i termini piccoli/μικρῶν in Mc 9,42 – Mt 10,42 ecc., nonché semplici/νήπιοι in Mt 11,25 sono riferiti ai suoi discepoli.

Gesù recupera questi termini con cui i giudei palestinesi, colti religiosamente, ingiuriavano i suoi discepoli, e li utilizza per rimarcare che proprio di essi sarà il Regno dei cieli. Anche in Mt. 11,12 il termine violenti/βιασταὶ è riferito ai suoi discepoli perché così probabilmente li appellavano gli oppositori giudei quando entravano nei loro campi per mangiare spighe o frutti, senza neppure aver purificato prima le loro mani.

Nel passo parallelo Luca 16,16 cerca di chiarire il controverso versetto di Matteo modificandone un po' il logos.

Con l'insegnamento di Gesù trovano compimento le promesse di Dio nel V.T. in Ez 34,11.31 – Is 29,19.20 et 65,19.20.

Giunti a chiusura di questo VI capitolo, voglio rimarcare l'importanza della pratica costante della preghiera personale:

mattina, vespro e sera (Didachè 8,3).

In special modo devo raccomandare la pratica assidua della Santa messa.

In essa i fedeli trovano, infatti, ciò che occorre alla loro anima: Il Verbo annunciato e spiegato; la comunione d'intendi con il popolo di Dio; la Confessione, un potente esorcismo che ci porta a riflettere sulle nostre azioni; la conversione a una vita santa; l'Eucaristia, nutrimento per la nostra salvezza; l'Agape con Dio attraverso il Santo Spirito; la pace interiore e con i fratelli; il riposo festoso, appagato e sereno del nostro spirito.

Poniamo, dunque, La Santa Messa a fondamento del nostro cercare e pregare Dio!


Claudio Gualtiero Maria Sala