La Tôrãh di Mosè e la Tôrãh di Gesù

11.01.2025

Cristo Pantocratore in trono, nell'Evangelario di Godescalc a Parigi


11.01.2025 - #religionecattolica


Estratto dal Libro Trinoteuco tomo I,
Ia edizione 01-2024 Gedi Digital; ISBN: 979-12-22802-70-1;
Capitolo VI – Le Sacre Scritture e l'archetipo del Regno di Dio - parte III (pag. 78>81).


La Tôrãh di Mosè e la Tôrãh di Gesù


La Tôrãh di Mosè

È opportuno, prima di entrare nel nuovo messaggio di Gesù, dare uno sguardo alla Tôrãh di Mosè, che si compone dei cinque libri storici detti Pentateuco: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Il termine Tôrãh significa Insegnamento, dottrina, tuttavia, nel tempo il suo significato prevalente divenne Legge. Tale legge, che Dio consegnò a Mosè sul monte Sinai, si divide essenzialmente in due tipi di norme:

- Norme apodittiche / Haggãdãh, cioè insegnamento morale edificante, con carattere narrativo; un insieme d'insegnamenti morali, omiletici e leggendari, che sono alla base del vivere comune tra gli uomini e con Dio, validi oltre il tempo e lo spazio, e fondanti per le norme casuistiche.

- Norme casuistiche / Hǎlãkãh, cioè regola, norma, modo di procedere; un insieme di norme e disposizioni di tipo giuridico rabbinico che, in coerenza alla Giustizia Divina, regolano le controversie e il vivere comune in una visione realistica adeguata a quei luoghi e tempi.

Dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme, avvenuta nel 70 d.C. tutte le tradizioni religiose, orali e scritte, furono raccolte per iscritto nel Mišnãh e a completamento di esso in altri due scritti posteriori il Barãjtâ (ciò che sta al margine) e il Tosêftâ (aggiunta).

A essi fece seguito il Talmûd, che è lo studio con il commento e le discussioni dei dottori sulle leggi della Tôrãh di Mosè. Il Talmûd fu realizzato secondo due scuole di pensiero che originarono due diverse opere monumentali, quello di Gerusalemme e quello Babilonese.

A questi studi si aggiungono i Midrašȋm (Midraš al singolare), con carattere d'indagine e prodotti dai singoli dotti, che furono raccolti nei Jalqût.

La Tôrãh di Gesù

Mt 11,9.15 fissa uno stacco decisivo con il precedente tempo dei profeti, indicando che con Giovanni inizia il tempo del Regno dei cieli.

Gesù inizia la sua predicazione in Galilea, in un luogo di grande bellezza e quiete, che la tradizione vuole individuare in un'altura a nord del lago di Gennèsareth. Matteo e Luca ci affermano che vi giunse percorrendo tutta la Galilea, annunciando il Vangelo del Regno e facendo molti miracoli. A seguito di ciò, si recavano a lui folle numerose e provenienti da diverse nazioni. I due evangelisti ne fanno una presentazione diversa nella sua struttura formale, ma sostanzialmente simile nei contenuti. Sicuramente poté influire che Matteo, al contrario di Luca, rivolgendosi ai suoi apostoli e discepoli, quindi connazionali, mantenne nel linguaggio un legame più stretto con le tradizioni e con l'aramaico.

Inoltre, si può supporre che Gesù fece più di una volta e in luoghi diversi, questo discorso, com'è pure ovvio pensare abbia fatto con le parabole ed altri insegnamenti. Cosa che d'altronde stava facendo per la presentazione del Vangelo e del Regno. Inoltre, mentre in Matteo Gesù si rivolge ai discepoli, in Luca si rivolge alle folle. Diremo, quindi con semplicità, che in quei luoghi, con quello che è detto "Il discorso della montagna", Gesù pone le fondamenta del nuovo rapporto tra Dio e l'Uomo e tra Uomo e Uomo, la Tôrãh di Gesù, entra così nella storia dell'umanità. Subito ci si rende conto della grande differenza con il passato. Adesso le norme casuistiche non fanno più parte della sfera d'interesse diretta di Dio.

Infatti, Gesù parlando al mondo intero deve superare i limiti dello spazio e del tempo, vale a dire d'Israele e delle generazioni allora presenti. Quindi, in quest'ottica, risulta ovvio che non abbia interesse alle norme casuistiche in generale né pertanto a quelle della Tôrãh di Mosè che sono, peraltro, radicate al luogo di un Israele immutabile e pertanto ataviche e bisognevoli di un opportuno completamento. Né d'altro canto poteva occuparsi di promanare leggi per i vari governi del mondo. Dio è Giustizia, la legge invece è degli uomini che, poiché legati a lui da vivo amore, rispettosi di lui e dei propri fratelli, dovranno avere la capacità di farle in coerenza alla sua Giustizia divina. «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Lc 20,25). Tuttavia, anche se questo ragionamento è ovvio per noi credenti, non lo era e non lo è per la maggior parte degli ebrei di ieri e di oggi. Si pensi alla disputa sul sabato, ritenuto giorno di riposo inviolabile, cui Gesù rispondeva che il lavorare dei suoi discepoli per le cose di Dio equivaleva al lavoro dei sacerdoti nelle sinagoghe. Così come anche alla disputa sul digiuno, cui rispondeva che i suoi discepoli non violavano la legge, giacché si trovavano con lui, il che era come se gli invitati dello sposo dovessero digiunare. Tuttavia, uno dei motivi forti della rottura con i dotti d'Israele fu ed è la disputa sulla questione della famiglia. Infatti, rimase incomprensibile ed insormontabile Mt 10,34.37 che scompagina la famiglia, così anche la frase sui familiari, che Gesù diceva fossero soltanto coloro che ascoltavano e mettevano in pratica la sua parola (Mt 12,46.50).

Sembrò che incitasse a violare il quarto comandamento della prima tavola:

"Onora il padre e la madre".

Tale posizione fu intesa come una vera minaccia all'assetto sociale e politico d'Israele, che si basava sui valori della famiglia e della discendenza. Infatti, quell'Israele che era stata tenuta unita dalle leggi che Dio aveva dato a Mosè e che aveva superato con esse tante prove, sembrò che potesse franare nel nulla. Di certo in quel momento, sotto il giogo romano, perdere la coesione del popolo attorno a quelle millenarie leggi a cui Israele si era affidata sembrava una follia. Ma, cosa più grave e certo intollerabile per chi deteneva il potere, con quel punto di vista, la casta sacerdotale avrebbe perduto sovranità sulla legge casuistica. Infatti, la nuova visione di Gesù precorre la strada della separazione tra potere temporale e spirituale. Si pensi, infine, alla disputa che intorno al 49 e.c. le tre colonne del cristianesimo ebraico Giacomo, Giovanni e Pietro ebbero con Paolo su tali motivi, compresa la circoncisione.

Paolo in proposito sostenne, nelle sue numerose lettere, l'universalità del messaggio di Gesù. Noi sappiamo che Gesù di certo non voleva dire quello che l'Israele di allora e d'ora, attribuiscono come significato alle sue parole. In realtà Gesù intendeva mettere ordine e quindi dare priorità: prima la Giustizia di Dio, poi le leggi che ne devono derivare: Mt 5.17,18 «Non crediate che sia venuto ad abolire la legge o i profeti; non sono venuto ad abolire, ma a compiere. In verità, infatti, vi dico: finché (non) passi il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo apice dalla Legge, prima che tutto avvenga».

Già in precedenza in ambito d'argomenti Mariani ci siamo imbattuti in questo concetto teologico: Il fatto è rilevante se è portatore di significato "factum et mysterium facti". Nei casi delle dispute sul sabato e sul digiuno, Gesù evidenzia che il fatto era privo del significato della disobbedienza alla legge, pertanto era rispettoso di essa. Mentre, nel caso dei familiari, egli vuole semplicemente insegnare che tutti dovremmo essere suoi fratelli accogliendo la più alta paternità di Dio. Infatti, l'amore per Dio, nell'unione con Lui rende perfetti gli uomini, che da quest'amore escono tutti fratelli. Da ciò sarebbe nata una nuova grande famiglia per un'Israele fondata sullo spirito piuttosto che sulla carne. Gesù ci parla cercando di condurci direttamente a lui, dopo, e soltanto dopo, una volta presso di lui ogni cosa potrà dipartirsi perfetta verso gli altri.

Tuttavia, i concetti esposti sono validi, solo, se si dà per certo che egli è Dio, infatti, se si partisse dal presupposto che fu soltanto un uomo pur se un profeta, allora, la disobbedienza ascrittagli sarebbe vera. Se non accettiamo il presupposto che egli è il Figlio di Dio, e pensando che fu un uomo cercassimo di capire i fatti e le scritture per trovarvi la sua possibile divinità, allora ci sembrerebbe tutto una follia, una provocazione.

La predicazione di Gesù scuote Israele sin dalle sue fondamenta e suscita un terribile scandalo.

Egli rivolge il suo messaggio di vita eterna soltanto ai piccoli, ai poveri, agli umili, ai semplici ai minimi, agli impuri per peccato o per deformità e malattia che la legge del Tempio sulla purità considerava come morti socialmente e spiritualmente. Gli impuri non potevano, infatti, santificare le feste o accedere al Tempio. Gesù li riscatta a nuova Giustizia ed eterna vita, mentre, condanna i ricchi e sapienti e dotti del suo tempo insensibili alla Giustizia Divina ed ipocritamente osservanti della Legge.

È una vera rivoluzione!

Il senso profondo delle Sacre Scritture si dischiude solo a chi vi riconosce la voce del suo pastore. Infatti, la scrittura sembra richiudersi su sé stessa quando, chi cerca di scrutarla, non vi si accosta col giusto sentimento. Egli è davvero il Figlio di Dio, lui stesso Dio che parla col Padre a faccia a faccia. In nessun altro modo può spiegarsi la straordinaria coerenza tra Verbo e Storia, con il superamento dei limiti umani, in termini di così grande rottura con il presente di allora e di oggi e il passato con le sue radicate tradizioni. 
Mosè era un uomo, il suo limite antropomorfo non gli consentiva di conoscere a pieno la Giustizia Divina. Così Dio mandò Gesù, il figlio unigenito consustanziale, che essendo nel Padre ne conosce la Giustizia e poté quindi presentarla all'uomo in linguaggio antropomorfo.

Adesso, dopo questa premessa, che ha inquadrato il senso generale del discorso di Gesù, entreremo nei prossimi argomenti in quei soli aspetti particolari che richiedono chiarimenti, lasciando al lettore il compito di completarne per gli altri la lettura direttamente dai Vangeli.


Claudio Gualtiero Maria Sala