Peccato e Perdono

Cacciata dal Paradiso ed insegnamenti di Michele A.; miniatura, Salteiro di Leida.
09.01.2025 - #religionecattolica
Estratto dal Libro Trinoteuco tomo I, Ia edizione 01-2024 Gedi Digital.ISBN:
979-12-22802-70-1;
Capitolo XX – Dio Tra Etica e Kerygma (pag. 247>251).
Peccato e Perdono: Gen 2 - 3
Un altro argomento su cui ci si deve assolutamente soffermare parlando di etica cattolica, cristiana od umana, è il rapporto tra peccato e perdono, che costituisce il fondamento della nostra religione. Senza di essi, infatti, si entrerebbe nella vita eterna senza dovere attraversare il giudizio divino, e lo stesso Gesù, il Cristo, sarebbe svuotato della sua funzione salvifica che è appunto il perdono di Dio.
In
alternativa: nessuna prospettiva di resurrezione a vita eterna, con la
conseguenza, comunque si intenda, che l'uomo stesso è un dio che può
arbitrariamente decidere secondo un suo giudizio o bisogno o sua legge. Anche
se si è avuto abbondantemente modo di parlare di grazia e di perdono ritengo
necessario sviluppare in maniera specifica questo argomento, in quanto
rivelativo delle radici su cui si fondano l'intero archetipo teologico
cattolico e la sua etica. Pertanto,
come già si è fatto per altri argomenti ci rivolgiamo al Pentateuco del Vecchio
Testamento e più specificatamente ai capitoli 2 e 3 del Libro della Genesi che
espongono sulla creazione dell'uomo e della donna. Questi spiegano come Dio li
abbia posti nel giardino dell'Eden, dove tutto è sorretto dalla sola potenza e
giustizia divina. In
quel luogo, Adamo ed Eva hanno a disposizione ogni genere di pianta e frutto e
tutto ciò di cui hanno bisogno. Al centro del giardino vi è l'albero della vita
dal quale nutrendosi si ha l'eternità, vicino ad esso vi è però l'albero della
conoscenza del bene e del male dal quale non devono mangiare perché il suo
frutto dà la morte.
Dio è
solito passeggiare nell'eden cercando la compagnia delle sue creature.
Questi elementi vanno così interpretati:
- L'eden è il Paradiso terrestre o Regno di Dio a cui l'uomo e predestinato, lì ogni cosa è sorretta dalla sola benefica potenza di Dio.
- L'albero della vita è l'Agape, cioè comunione d'amore con Dio e adesione al suo piano della creazione che dà la vita eterna;
- L'albero della conoscenza del bene e del male è invece il mondo degli eoni dove l'uomo si dibatte tra queste due forze e muore. Questo rappresenta anche la rottura della comunione con Dio e la scelta di un proprio percorso di esistenza;
- I due alberi, della vita e della conoscenza, posti al centro dell'Eden rappresentano il libero arbitrio. Pertanto, la possibilità di scelta tra le vie di Dio e le proprie. In questa ancestrale dicotomia sono già presenti i due eoni del bene e del male;
- Il passeggiare di Dio con le sue creature rappresenta il cammino di conoscenza e amore (agape) che gli uomini devono fare guidati dal Padre e Creatore. La sapienza e l'amore del Padre Celeste devono trasferirsi poco alla volta nell'uomo affinché questi possa raggiungere la conoscenza e l'amore necessari per dominare il male.
Adamo ed Eva però, creature ancora ingenue e inconsapevoli, decidono di dare ascolto alle parole del serpente: Gen 3,4.5 «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male».
Così Eva mangia del frutto proibito e ne dà ad Adamo che pure ne mangia. Con questo atto, contrario al progetto che Dio ha della creazione, l'umanità intraprende una via autonoma. È il così detto peccato originale. L'uscita dall'Eden è la conseguenza diretta di quella scelta, l'albero della vita viene impedito all'umanità che scivola nel mondo dell'eterna lotta tra bene e male (Gen 3,23.24).
Dio maledice il serpente ma non l'uomo e la donna che egli ha cura, invece, di vestire con tuniche di pelli mentre li avverte sulla durezza della vita che li attende (Gen 3, 20.22). L'uomo non era pronto a dominare il bene e il male così come Dio avrebbe voluto. E Dio disse ad Adamo: Gen 3,16.19: «Maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita … polvere sei e polvere diventerai.» e alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori … con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà».
Adesso l'uomo è solo nel mondo, impreparato a gestire il suo avvenire e la donna per tanto, tanto, tempo rimarrà sottomessa all'uomo che incapace di gestire il suo istinto e la sua forza con ignorante arroganza dominerà su essa. Dio però non smette di vegliare sulle sue creature e sempre cerca di comunicare con l'uomo per riproporre il suo piano di salvezza. Egli parla con Adamo con Abele, con Caino, con Noè, con Giacobbe, con Abramo, con Saul e con David e con Mosè e con tutti i profeti che cercarono di riportare l'umanità sulla giusta via. Si pensi al primo patto di alleanza con Abramo ed in fine l'alleanza con Maria di Nàzareth che donerà all'umanità Gesù il Cristo, il Redentore, L'Agnello di Dio venuto a cancellare i peccati del mondo. È quindi evidente una volontà di Dio a perdonare la sua creatura, con una ricerca continua di confronto e dialogo attraverso il quale potere restaurare il rapporto con l'uomo. Dio si spinge verso l'uomo sino a mandare suo figlio affinché arrivi all'uomo un insegnamento chiaro e perfetto che possa ricondurlo al Regno di Dio, all'Eden, alla salvezza eterna, basterà un sì di adesione al progetto divino della creazione, adesione alla Giustizia Divina.
Ecco,
adesso sappiamo che la nostra esistenza come umanità scorre tra peccato ed
esigenza di perdono. Questo principio di carattere, possiamo dire, ancestrale
lo vediamo ogni giorno nel suo continuo ridondare tra gli uomini. Il peccato
originale che ci pone lontani dalla giustizia divina, ci lascia scoperti della
sua guida, e pertanto, fallibili, pecchiamo con il nostro prossimo, con la
nostra famiglia, con lo stato, con il datore di lavoro ecc.
Da
tutto questo potremmo trarre insegnamento anche se non fossimo cattolici o
cristiani: il perdono è necessario anche per ricostruire i rapporti tra
familiari, conoscenti o anche estranei; infatti, esso mira attraverso una
discussione ed una ricerca comune della verità a restaurare un rapporto. Posso
capire che ciò appare quasi ovvio se si tratta di familiari o amici, ma più
difficile se coinvolge estranei o investe reati gravi. Tuttavia,
il percorso del perdono è sempre necessario, esso non solo non può essere
negato ma deve bensì essere offerto sempre dall'offeso come dono, appunto "per
dono" di un insegnamento che ha la capacità di ricondurre al giusto.
Dio ci ha insegnato questa modalità: è necessario che il perdono sia preceduto da un'autentica ricerca della verità e da un pentimento altrettanto vero e sincero.
È ovvio che talvolta, per la gravità del reato commesso, questo percorso necessita che sia guidato da un esperto mediatore che comprenda modalità, tempi e tappe da percorrere adatti sia all'offeso che all'offensore. Recuperare un individuo e restituirlo a una vita sociale sana è per la società un risultato di grande valore anche in termini economici oltre che di pace e giustizia sociale, una grande vittoria del bene sul male. Sì, perché non dobbiamo dimenticare che il bene è il male sono nelle azioni mentre l'uomo e uomo e basta. A noi non è dato di sapere chi è di Dio e chi no, la mano per tirar fuori dall'inferno un uomo deve essere offerta a tutti.
Il Perdono come percorso di restaurazione è pertanto a fondamento dell'etica umana ed ancor più di quella cattolica. Perdonare quindi significa restaurare, ma come per l'uomo di Dio che viene glorificato nella reintegrazione della comunione con Dio stesso, così necessita che l'uomo guarito moralmente sia reintegrato o inserito in un tessuto sociale che lo accolga in un ruolo dignitoso dove abbia casa e lavoro rispettabili. Ecco, questo, sì, significa tirar fuori un uomo dall'inferno. Non possiamo, dopo averlo redento, abbandonarlo ad un nuovo inesorabile declino sociale e morale, ciò sarebbe disumano e beffardo, demoniaco. Un peccato di derisione della umana dignità e direttamente contro Dio, perché ci renderemmo colpevoli di avere smarrito una sua creatura che era stata ritrovata (Lc 15,1.32 e par.). Per concludere l'argomento consiglio la lettura su peccato e perdono: Mt 5,38.48 - 6,12.14 - 7,12 – 18,21.35; Lc 17,3.4.
Il re e il servo disumano Mt 18,23.35:
In questa controversa parabola, Gesù risponde alla domanda di Pietro sul perdono: esso dovrà essere concesso sino a settanta volte sette, quindi sempre.
Espone allora una similitudine a contrasto: Un re, impietoso, concede ad un suo servo ulteriore tempo per pagare l'enorme debito di diecimila talenti. Al tempo di Gesù era facile capire di che cosa si stesse parlando. Oggi, noi, solo conoscendo la storia, il costume e le leggi di quel tempo, capiamo di trovarci difronte al Re di Roma o ad un suo Prefetto, mentre il debitore è un esattore che ha ritardato, per motivi non precisati, la riscossione delle tasse. Per legge, a quei tempi in Israele, l'esattore rispondeva con il proprio patrimonio all'eventuale minore riscossione di quanto previsto. D'altro canto, non si spiegherebbe altrimenti come un semplice servo potesse avere un tale debito col suo re. A sua volta il debitore del debitore è un esattore in subappalto del primo. I due esattori sono stritolati dal sistema violento e crudele della legge romana e dalla falsa magnanimità del Re, che mira solamente a potere infine riscuotere le pesanti tasse. L'esattore, a cui il re aveva concesso altro tempo, infatti, visto un suo subappaltane che non aveva versato la sua parte d'imposte, gli saltò subito al collo per fargli versare quanto dovuto. Infine, altri subappaltanti, temendo anche per loro il peggio, si rivolsero al re facendo in modo che tutta la colpa e il danno ricadesse sull'appaltante. A questa totale mancanza di giustizia, Gesù contrappone la richiesta di Dio della costante remissione incondizionata verso i fratelli. Con una pseudo similitudine mette in evidenza il contrasto tra le due Basilea evidenziando che quella di cui lui parla si fonda sul perdono incondizionato e la fratellanza. Su ciò Dio non transigerà.
Il peccato e la predicazione di Gesù
Dopo avere posto i giusti accenti sulla ineludibile esigenza di costringere il peccato in un percorso redentivo che si concluda in una piena conversione, dobbiamo però teologicamente ben capire, come tale concetto si pone in relazione con la predicazione di Gesù in ordine anche ai destinatari del suo discorso. Sembra banale, invece è essenziale e rivelativo comprenderlo. I peccati di relazione tra gli uomini o relativi alla carne impegnano marginalmente la predicazione di Gesù. In sostanza i peccati sono destinati ad essere rimessi attraverso un percorso redentivo che porta alla conversione. Gesù siede a tavola anche con i peccatori, i malati e gli emarginati, ne guarisce i corpi e lo spirito, purché abbiano fede in lui e si ripromettano di non peccare più.
Nelle sue prediche non si rivolge mai con tono aspro verso le folle o i discepoli se pur peccatori, ma semplicemente indica loro i percorsi da seguire per entrare o rimanere nelle vie della Giustizia Divina. Al contrario è sempre molto duro e sferzante con i sacerdoti e i farisei ed in maggior misura con gli scribi che erano i teologi ed i maestri dei farisei, si vedano ad esempio i guai/ου̉αί in Lc 6,24.26. Questi pagavano le decime, facevano regolarmente le offerte al Tempio, le elemosine ed osservavano il digiuno, le prescrizioni sabatiche, le regole della purità e in generale la Tôrãh di Mosè. Magari facevano qualche peccatuccio, ho anche qual cosa di più. Però, tutto sommato, potremmo dire che erano delle brave persone. In fondo, dovendo soppesare cose buone e cattive i piatti della bilancia penderebbero più dalla parte delle cose buone. Gesù era certamente ben consapevole di ciò, ma ciò non bastava anzi non contò nulla.
Per sciogliere il nodo teologico vi sono diverse parabole, tra queste Lc 18,9.14:
La Parabola del fariseo e del pubblicano
In questa parabola Gesù mostra come la conoscenza della legge e la presunzione di trovarsi nel giusto abbassi la guardia ed espone l'uomo al peccato facendogli ritenere di essere vicino alla Giustizia Divina e pertanto di non dover fare altro. Questa presunzione e pericolosissima, essa tacita il bisogno di avvicinarci a Lui in Agape, ed addormenta il nostro sentimento, la nostra fede. Perduti in questo stato pensiamo di poterci godere allegramente la vita, concedendoci qualche trasgressione, tanto, pensiamo, la bilancia pende a nostro favore. La cosa, però, ancora peggiore è che in quello stato di presuntuosa certezza, di essere nel giusto e di conoscere perfettamente la Tôrãh di Mosè, non erano interessati minimamente alla Buona Novella che Gesù annunziava, essi non erano disposti a spostarsi su nuovi percorsi di fede. Gesù vede il Giudizio di Dio che si abbatterà su di loro e sul popolo che essi trascineranno con i loro insegnamenti verso la rovina e li avverte ed ammonisce ripetutamente e duramente. La fede in Gesù è l'unica via, lui riporta in Israele il Santo Spirito, assente dai tempi del Sinai. Il Santo spirito, infatti, aiuterà nel percorso redentivo dai peccati sino alla completa conversione.
Claudio Gualtiero Maria Sala