TRINOTEUCO - Teologia della Trinità
#religionecattolica
Tra gennaio e marzo del 2024 ho pubblicato, con Gedi Digital del Gruppo Gedi, un libro in due tomi
il cui titolo è:
TRINOTEUCO Tomo I - Il Codice celato;
TRINOTEUCO Tomo II - Il Codice Sincronico.
- Il primo tomo propone un nuovo punto di vista secondo quella che ho definito "Very Quest". Si sono seguiti precisi percorsi di Storia, Teologia, Cristologia, Mariologia, Ecclesiologia, Analisi scritturale del testo greco e della traduzione in Italiano, attraverso un'accurata analisi anche delle eresie, alla ricerca del vero volto di Gesù di Nàzareth. Innumerevoli le novità, tra cui la verità sulla data della Natività e sulla visitazione dei Magi, la corretta interpretazione del problema della doppia Pasqua e tanto altro ancora accompagnato da un'appendice dedicata a sussidi che supportano le diverse ed interessanti novità presentate. (pag.400 in A4 doppia colonna, cartaceo con copertina morbida e rigida; e formato e-book)
- Il secondo tomo è un codice sincronico dei vangeli. La fusione in sincronia di questi testi risolve in buona parte il legittimo desiderio di dare una logica più aderente allo svolgersi dell'azione evangelizzatrice di Gesù che qui trova un inatteso e sorprendente sviluppo. il Testo in greco, ripreso dai più eminenti studi di concordanza e analisi scritturale da me poi comparati con i più importanti codici, è affiancato da un'aderente traduzione in italiano, secondo uno studio analitico che quando possibile recupera il precedente significato del linguaggio aramaico. Il fine è di meglio rendere l'ambiente e le tematiche ebraiche nonché il legame tra contesto storico, esegesi e teologia. D'altronde, come la parola, in quanto contenitore di significato, potrebbe essere più importante del significato che contiene. Very quest! Il testo è accompagnato da un quadro sinottico che segnala e motiva, per ogni evangelista, tutte le situazioni che derivano dall'accordo dei versetti ed evidenziate sul testo con (*) e riguardanti omissioni parziali o totali perché il brano è testimoniato da altro Evangelista. In prefazione, nella motivazione ermeneutica, viene invece segnalato il metodo seguito per la scelta sincronica dei versetti. (Pag. 276 in A4 doppia colonna, cartaceo con copertina morbida e rigida; e formato e-book.
Tutto ciò che era celato viene ora posto in luce.
Troverete il libro su: Amazon, Apple,
la Feltrinelli,
IBS, Kobo in Mondadori
e tanti altri.
Nel sito ilmiolibro.it sul percorso: Leggere>catalogolibri>filtro=religione>trinoteuco i due tomi vi aspettano in diverse versioni: cartaceo con copertina rigida o morbida ed e-book; ed avrete la possibilità di leggerne gratuitamente la prima parte di introduzione storica all'ambiente israelitico di quel tempo.
Qui di seguito troverete qualche estratto che vi permetterà di entrare bene in contatto con alcuni dei contenuti di questo mio lavoro. Inoltre, nella sezione Blog magazine - Dio è Arte troverete alcuni altri articolo teologici estratti da questo testo.
Vi aspetto, fatemi sapere e regalatemi tutte le domande che volete su questo sito o su Linkedin o sulla mia posta elettronica.
ilmiolibro.it:
ISBN: 979-12-22802-70-1; ISBN: 979-12-22803-88-3
Seguono alcuni estratti:
#religionecattolica
Il Dogma Della SS. Trinità
Alcuni riferimenti nel Vecchio Testamento
Nel VT abbiamo diversi punti dove i profeti parlano di Dio, del Santo Spirito, e della venuta di un Messia, lasciando quindi intravedere un triplice modo del manifestarsi del Dio di Abramo, il cui titolo in ebraico è Elohim.
Riporto ad esempio qualche citazione:
- Genesi 1,26:
« Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza»
«Καὶ εἷπεν ὁ Θεός· Ποιήσωμεν ἄντρωον κατ᾿ εἰκὀνα ἠμετέραν καὶ καθ᾿ ὁμοίωσιν»
Questo passo, a parere di molti studiosi, suggerisce già una forma plurale di Dio, la qual cosa ci rimanda alla bibbia ebraica dove il termine "Dio" viene espresso con il termine "Elohim" che nella grammatica ebraica è singolare ma talvolta viene usato come plurale ricollegandosi alla parola elohah di derivazione politeistica.
Si tratta di un omonimo che può indicare Dio ma anche angeli, sovrani, giudici o grandi personaggi.
La scelta delle parole per indicare Dio è varia nella Tanakh o Bibbia ebraica. Secondo un'ipotesi documentale queste differenze suggeriscono diversi testi di partenza: elohim è usato come nome di Dio nella fonte Elohista ed in quella Sacerdotale, mentre Yahweh è usato nella tradizione jahvista. La critica delle forme e studiosi suggeriscono che la differenza dei nomi potrebbe derivare da diverse origini geografiche.
Altri sostengono si tratti semplicemente di un plurale maiestatis, cioè che serve ad enfatizzare per esaltarne la grandezza, altri ancora, e parte della Chiesa, suggeriscono che il concetto possa indicare Dio e gli angeli.
Dal canto mio, come tanti anche nella Chiesa, ritengo che se il Sacro Libro avesse voluto definire meglio lo avrebbe fatto; pertanto, ritengo si tratti semplicemente di un pluralis exellentiae o maiestatis.
D'altronde i versetti che nel VT mostrano una forma trinitaria di Dio sono tantissimi e non vi è pertanto necessità di forzare interpretazioni in tal senso, né di dire più di quanto tale versetto dica.
- Genesi 1,2 introduce lo Spirito Santo: «Lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque»
- Salmi 104,30: «Mandi il tuo Spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra».
- Gdc 6,34: «Ma lo Spirito del Signore rivestì Gedeone»
- Gdc 11,29: «Allora lo Spirito del Signore venne su Iefte»
- 1Sam 16,13: «Lo Spirito del Signore si posò su Davide da quel giorno in poi»
- 2Sam 7,12,17 Visione profetica di Natan su un discendente di Davide di cui Dio dice: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»
- Ez 34,23 che profetizza: «Susciterò per loro un pastore che le pascerà ... .»
- Isaia 7,14 che profetizza: «Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuel (che significa Dio è con noi)».
- Isaia 11,1.9 che preannuncia il discendente di Davide su cui si poserà lo Spirito del Signore.
- Isaia 53 che descrive la crocefissione di Gesù.
E tanto altro.
Alcuni riferimenti nel Nuovo Testamento
Ovviamente i riferimenti sono tantissimi e molto chiari, dando così una forma concreta al concetto di Trinità, anche se la coniazione del termine Trinità sarà più tarda.
Riporto di seguito alcune citazioni:
- Mt 3,16:
«Dopo battezzato, Gesù risalì subito dall'acqua: ed ecco, si aprirono a lui i cieli e vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui.»
«βαπτισθεὶς δὲ ὁ Ἰησοῦς εὐθὺς ἀνέβη ἀπὸ τοῦ ὕδατος καὶ ἰδοὺ ἠνεῴχθησαν οὶ οὐρανοί, καὶ εἶδεν πνεῦμα θεοῦ καταβαῖνον ὡσεὶ περιστερὰν ἐρχόμενον ἐπ' αὐτόν»
- Mt 28,19:
«Andate, dunque, e fate discepole tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e del Santo Spirito».
«πορευθέντες οὖν μαθητεύσατε πάντα τὰ ἔθνη, βαπτίζοντες αὐτοὺς εἰς τὸ ὄνομα τοῦ πατρὸς καὶ τοῦ υἱοῦ καὶ τοῦ ἁγίου πνεύματος»
- Gv 14,26:
«Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi farà ricordare tutto ciò che io vi ho detto.»
«ὁ δὲ παράκλητος τὸ πνεῦμα τὸ ἅγιον, ὃ πέμψει ὁ πατὴρ ἐν τῷ ὀνόματι μου ἐκεῖνος ὑμᾶς διδάξει πάντα καὶ ὑπομνήσει ὑμᾶς πάντα ἃ εἶπον ὑμῖν ἐγώ.»
E tanto altro.
Il legame col Vecchio Testamento e l'archetipo trinitario;
Estratto dal libro TRINOTEUCO Tomo I,
Ia edizione 01.2004 Gedi Digital ISBN: 979-12-22802-70-1;
Capitolo VI, Le Sacre Scritture e l'Archetipo Trinitario (pag. 61>62)
È importante evidenziare che nel Nuovo Testamento si realizza ciò che si preannuncia nel Vecchio, formandosi un'unità perfetta dei testi. Questi, infatti, anche se provenienti da diversi autori, con diverse estrazioni sociali e culturali e da diversi periodi storici distanti anche molti secoli, mostrano una straordinaria unità e coerenza teologica e dottrinale.
Possiamo, infatti, affermare, grazie allo stretto legame tra Vecchio e Nuovo Testamento, che Gesù di Nàzareth, è secondo le Sacre scritture, il figlio del Dio di Abramo Yhwh (Jahwèh).
Nel Deuteronomio, l'ultimo dei cinque libri del Pentateuco, vi si trova il chiaro annunzio della venuta di Gesù:
Dt. 18,15 «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me: lui ascolterete».
In un momento in cui il popolo d'Israele stava per conquistare le terre promesse, Dio diede a Mosè diverse prescrizioni cui attenersi. Tra queste vi è quella che riguarda il divieto di far ricorso agli indovini o ai maghi o anche ai morti per cercare di prevedere il futuro. Dio, allora, ammonì il suo popolo promettendo un profeta pari a lui.
È evidente che il Profeta a cui Dio si riferisce è in contrapposizione a ciò che fanno i maghi o gli indovini; quindi, di certo non predirà il futuro perché se ne traggano vantaggi terreni. Questi, opererà solo per il bene, insegnando le vie della salvezza spirituale e indicherà i sentieri che portano a Lui.
Egli sarà più grande dello stesso Mosè, con cui Dio parlava come sì parla con un amico, ma a cui non aveva concesso di vedere il suo volto, infatti, così Mosè chiedeva a Dio: Es 33,18.20 «Mostrami la tua Gloria» … la richiesta non fu accolta … «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo».
Questo nuovo Profeta, invece, sarà pari a lui stesso, e vedrà Dio a faccia a faccia, e poiché suo pari ne avrà la conoscenza assoluta e le sue parole saranno quelle di Dio: Mt 11,27 Tutto mi fu dato dal Padre mio, e nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e (colui) al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Gv 14, 6.11 Gli dice Gesù: «Io sono la via e la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se mi aveste conosciuto, anche mio Padre conoscereste, e sin d'ora voi lo conoscete e l'avete visto». Gli dice Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da Tanto tempo sono con voi e non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre.
Come puoi tu dire: "Mostraci il Padre?" Non credi che io sono nel Padre e il Padre in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso, ma il Padre che dimora in me fa le sue opere. Credetemi io (sono) nel Padre e il Padre in me; Se poi non (credete), credete a causa delle opere stesse».
Gv 14,16.17: «E io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito affinché sia con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi.
Ecco, adesso è chiaro da dove vengono il sapere e l'autorità di Gesù, il suo non è un insegnamento da uomo a uomo.
Gv 1,1: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo.
Gv 1.14: E il Verbo divenne carne e pose la tenda fra noi, e contemplammo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.
Gv 1,18: Dio nessuno (lo) ha mai visto. L'Unigenito Dio, che è nel seno del Padre, lui (lo) ha rivelato.
È Dio che insegna all'uomo le sue vie.
È questo il senso della promessa e il legame teologico fondamentale tra Vecchio e Nuovo testamento, tra Dio di Abramo e Dio di Gesù e Gesù stesso, tra Dio e i suoi santi per mezzo del Santo Spirito. Il Dio di Abramo, ora, per avvicinarsi di più all'uomo ed essere meglio compreso, si manifesta a lui in forma trinitaria fondandosi così il fondamento teologico su cui si basa il principio dogmatico della Trinità e della consustanzialità.
La formulazione del Dogma della Trinità
Subito dopo la fase di stesura dei sacri testi si ebbe una progressiva maggiore consapevolezza di questo concetto, ne do un breve cenno di seguito.
La Didaché (90-100 d.C.) prescrive che la liturgia battesimale si svolga secondo una formula trinitaria che prevedeva un'immersione in acqua per tre volte. Ciò significa che nel II secolo era già chiaro che il battesimo dovesse essere amministrato secondo la formula: nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
All'incirca nel 202 d.C. Ireneo nella Dimostrazione di fede cattolica dice:
«Per questa ragione, la nostra nuova nascita - il Battesimo - ha luogo grazie a questi tre articoli, che ci portano la grazia della nuova nascita in Dio Padre per mezzo di Dio Figlio nello Spirito Santo. Poiché coloro che portano lo Spirito di Dio sono condotti al Verbo, cioè al Figlio, ma il Figlio li presenta al Padre, ed il Padre dona l'incorruttibilità. Così, dunque, senza lo Spirito non è possibile vedere il Figlio di Dio, e senza il Figlio nessuno può avvicinarsi al Padre, in quanto il Figlio è la conoscenza del Padre, e la conoscenza del Figlio avviene mediante lo spirito Santo.»
Il termine Trinità comunque comincia ad essere usato a partire da Tertulliano e Praxean (Prassea) nel II secolo d.C., ed anche Ilario di Poitiers nel suo De Trinitate. Tuttavia, fu solo dopo lo scontro dottrinale con Ario che la Chiesa dovette mettere dei precisi paletti per arginare le tendenze eretiche del IV secolo.
Infatti, nel IV secolo, in fine, il Concilio di Nicea del 325 d.C. sancisce la consustanzialità tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, dottrina che si accetta con la professione di fede espressa nel Credo di Nicea.
La Trinità viene così definita in teologia come tre ipostasi individuali, cioè tre persone o sussistenze, che hanno e vivono in un'unica essenza o sostanza comune.
Dio al di là dell'archetipo trinitario;
Estratto dal libro TRINOTEUCO Tomo I,
Ia edizione 01.2004 Gedi Digital ISBN: 979-12-22802-70-1;
Capitolo XX, Dio tra Etica e Kerigma (pag. 243>244).
Un altro aspetto interpretativo delle scritture è quello della comprensione e concettualizzazione del Dio del Vecchio e Nuovo Testamento, cercando di guardare più in là del dogma Trinitario o di negarlo.
Andare cioè oltre l'archetipo religioso, cercando tra scienza, teologia e filosofia. Muovendosi però in tale direzione per cogliere l'essenza immanente o trascendente di Dio, con i soli insufficienti mezzi del nostro antropomorfismo, dobbiamo usare grande accortezza.
Infatti, non dobbiamo trascurare che tale tentativo di oggettivazione potrebbe condurci facilmente a posizioni che ci allontanano dalla scrittura. Entriamo dunque con prudenza nel problema.
L'uomo fu creato a immagine e somiglianza di Dio, pertanto, possiede capacità superiori che lo differenziano dagli altri esseri e dalla materia.
I termini della sua essenza sono però finiti, tali sono stati realizzati nella creazione. Nella sua finitezza, all'interno del suo antropomorfismo, l'uomo è capace d'intuire Dio, entità che identifica nell'idea antropomorfa di forma infinita (non immaginabile, non riconducibile a una misura), e di comprenderlo nella sua richiesta posta all'uomo in termini antropomorfi, nel limite della capacità umana. Ne consegue che l'unica idea che possiamo farci di Dio, va cercata dentro di noi in maniera spirituale e non figurativamente strutturata. L'Immanenza per i cattolici o la trascendenza di Dio rimangono imperscrutabili, o campo della fantasia (si veda pp 268>270).
"L'uomo, infatti, definisce ciò che non conosce in proporzione a ciò che conosce", afferma Cusano.
Mi permetto di aggiungere:
"Persino le domande che si pone sono pure proporzionate, non a ciò che non conosce, ma a ciò che conosce di non sapere".
Anche questo, dunque, rimane un problema d'etica religiosa o morale, in poche parole è una viva presunzione porsi la domanda in termini diversi.
D'altronde, si pensi a Mosè che non poteva guardare Dio in volto senza restarne ucciso. Solo la perfezione può vedere la perfezione!
Le Sacre Scritture, nel N.T., ci presentano un Dio che comunica con l'uomo in forma trinitaria, il Padre il Figlio e lo Spirito Santo.
La Chiesa ha quindi operato correttamente definendo ciò che non conosce in proporzione a ciò che conosce, stigmatizzando di conseguenza il rivelarsi di Dio all'uomo nel dogma della trinità. Ciò evita giustamente le eretiche presunzioni di altre interpretazioni.
Claudio Gualtiero Maria Sala
#religionecattolica
Estratto dal libro TRINOTEUCO Tomo I,
Ia edizione 01-2024 Gedi Digital ISBN: 979-12-22802-70-1;
Capitolo VI – Le Sacre Scritture e l'archetipo del Regno di Dio parte III (pag. 84>90).
La preghiera
I versetti Mt 6,1.4 insegnano a fare l'elemosina in segreto e non certo in pubblico per averne vanto tra gli uomini. Solo in tal modo, infatti, ne avremo ricompensa dal Padre. Essa introduce e prepara alla successiva preghiera:
Mt. 6,5.6: E quando pregate non siate come gli ipocriti, perché amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per mostrarsi agli uomini. In verità, vi dico, ricevono la loro ricompensa. Invece quando tu preghi, entra nella tua camera e, avendo chiusa la tua porta, prega il Padre tuo quello nel segreto; e il Padre tuo che ti vede nel segreto ti ricompenserà.
Tra i vari insegnamenti di Gesù nel discorso della montagna Matteo, nel suo Vangelo, riporta anche quello sulla preghiera, diversamente l'evangelista Luca lo inserisce come episodio a parte ma avvenuto in circostanze simili. In Matteo, Gesù inizia la sua catechesi sulla preghiera raccomandandoci di farla in segreto e quindi da soli con Dio, giacché egli ha con ciascuno di noi un rapporto diretto ed esclusivo. Poi, rivolgendosi ai discepoli introduce il Padre nostro, che è una preghiera che può essere recitata insieme nella comunità dei battezzati e convertiti, vale a dire i figli di Dio.
Allora, coerentemente, dobbiamo intendere che le preghiere personali di ogni giorno, che portano le nostre emozioni e richiedono di esplicarsi in un'atmosfera di confidenza e di segreto tra Padre e Figlio, sono quelle che dobbiamo fare da soli. Vi sono invece preghiere che, soprattutto nel rito eucaristico e nelle cerimonie o nelle riunioni tra fedeli, richiedono una partecipazione comune per comunità d'intenzioni e di azioni. Tutto, ovviamente, deve svolgersi nel rispetto della prescrizione della sinteticità e semplicità, senza volersi mettere in mostra ma con spirito comunitario di condivisione della grazia e anche dei nostri umani problemi. D'altro canto, la preghiera comune sotto la guida della Chiesa, così com'è stato per il Padre Nostro di Gesù, esplica una funzione di orientamento comune. Ciò evita un eccessivo personalismo nella preghiera, che potrebbe portarci a idealizzare un Dio eccessivamente personale e non aderente alle Sacre Scritture.
La preghiera personale può comunque essere orientata secondo le esperienze canoniche e di fede avute. Come si può facilmente capire, sarebbe opportuno cercare di ordinare anche la preghiera individuale in maniera adeguata.
Vale a dire con un impianto unitario, organizzato a ottenere un'adeguata partecipazione spirituale ed emotiva. Si possono a tal fine evidenziare tre principali livelli di preghiera.
Il primo, semplice e primitivo, formato con preghiere di saluto e introduzione al mistero della fede, cui fanno seguito le richieste personali. Nel secondo livello si aggiungono le intenzioni per l'interesse generale. Al terzo e più profondo livello di preghiera si introducono l'ascolto della parola del Signore con la lettura di lezioni dalla Sacra Bibbia e il silenzio meditativo. In questa fase della preghiera ci si affida completamente a Dio, secondo il suggerimento del Vangelo.
L'atteggiamento che dobbiamo avere Gesù lo suggerisce in Lc 22,42: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Però, non la mia volontà, ma la tua sia fatta» (similmente testimoniano Marco e Matteo); pronunciamo il passo nell'intimità del nostro cuore. Le sue vie sono imperscrutabili e di certo migliori delle nostre, lasciamo fare a Lui. Se sarà Lui a guidarci, le ansie ci abbandoneranno, saremo pervasi da una gran quiete interiore che sapremo trasmettere anche agli altri e, se dovremo, attraverseremo con il conforto della fede il nostro momento più buio. A poco a poco, entreremo in intimità d'amore con Lui e allora ci formerà e correggerà, trasformandoci sino alla santità.
Vi sono poi altre forme di preghiera meditativa, come quella in solitudine ascetica o nei conventi e monasteri.
Vi è poi la Transverberazione, che è una forma di Agape non raggiungibile dalla nostra sola volontà, esso è, infatti, uno stato di grazia che è dono personale di nostro Signore. In tale stato la persona vive simbioticamente la vita di Cristo, percependo le sue sofferenze e gioie.
Noi, però, dobbiamo solo pregare, sperare e attendere, ricordando quel che San Paolo ci insegna, come ciò che è più prezioso a Dio in 1Cor 13,13: la fede, la speranza e l'agape; ma la più grande di esse è l'agape. Nell'attendere non dimentichiamoci, dunque, di perseguire la carità e l'amore insieme alle nostre preghiere, giacché l'agape è preghiera dell'agire e ci predispone nei fatti alla comunione con Dio: 1Cor 13,1.8 Se anche parlo le lingue degli uomini e degli angeli, ma non ho l'agape, sono un bronzo rimbombante o un cimbalo strepitante. E se anche ho (il dono della) profezia e conosco tutti i misteri e tutta la scienza, e, se anche possiedo tutta la fede, sì da spostare (le) montagne, ma non ho l'agape (amore - carità), sono niente. E se (anche) do in cibo tutte le mie sostanze, e se (anche) do il mio corpo per averne vanto, ma non ho (l')agape, non mi giova a nulla.
L'agape è paziente, è benevola l'agape; non invidia, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male (ricevuto), non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità; tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. L'agape mai manca.
L'agape è comunione con Dio ed è il dono che egli fa a chi lo ama e ha fede in Lui, con essa ci perfeziona nel suo amore e ci mette in sintonia con la giustizia divina. In tal modo veniamo in possesso della capacità disinteressata di amare e donarci all'altro, il prossimo, e di entrarvi in comunione fraterna.
In sintesi: La comunione d'amore con Dio si rivela nel possedere o meno la carità nella sua forma più pura e perfetta.
Vi sono uomini buoni, capaci di grandi gesti d'amore, caritatevoli e generosi, tuttavia senza fede e amore in Dio.
Certo, Dio li ama, tuttavia non sono in agape con Lui, non sono del suo gregge, non convertono altre anime alla fede in Lui. Non la legge, non le opere, ma solo la fede in Dio ci salva! Questo afferma impetuoso e con potenza espressiva San Paolo, volendo però implicitamente significare che prima bisogna amare Dio per conformarsi a Lui. Dopo e soltanto dopo, allora, le opere e l'osservanza della legge gli saranno gradite. Quindi, non perché nostro merito di fronte agli uomini, a cui queste cose sono dovute, ma perché testimonianza viva della presenza di Cristo in noi. In tal modo la nostra intera vita è essa stessa preghiera.
Nella Chiesa i fedeli sono Corpo di Cristo, vale a dire sono in agape con Lui e tramite Lui con i fratelli. In essa dobbiamo operare mantenendone saldi i quattro cardini dell'agape che la reggono: Annunziare il Vangelo; Comunione fraterna; Eucaristia; Preghiera.
Il Padre Nostro
Tornando alla preghiera lasciataci da Gesù, possiamo adesso meglio comprendere che essa è in maggiore misura preghiera comunitaria, preferita per la liturgia nella forma di Matteo:
Mt 6,7.13:
Pregando poi, non blaterate come i gentili, credono, infatti, che saranno ascoltati per la loro prolissità. Non siate dunque simili a loro, il Padre vostro sa di cosa avete bisogno ancor prima che voi glielo chiediate.
Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
Il nostro pane per domani da a noi oggi,
e rimetti a noi i nostri debiti,
come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori,
e non ci condurre nella tentazione,
ma liberaci dal maligno.
Lc 11,2.4:
Allora disse loro:
Quando pregate, dite:
Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
il nostro pane per domani,
da' a noi giorno per giorno
e perdona a noi i nostri peccati,
giacché anche noi perdoniamo
ad ogni nostro debitore
e non ci condurre nella tentazione.
NB: La Didachè in 8,2
testimonia che era in uso concludere le preghiere con un sigillo che
poteva essere libero o fisso.
Per il Padre Nostro il sigillo divenne
fisso all'inizio del II secolo, ed era: "Poiché tua è la potenza e la gloria
nei secoli."
(Ὅτι σοῦ ἐστιν ἡ δύναμις καὶ ἡ δόξα εἰς τοὺς αἰῶνας.).
Il Padre Nostro è una preghiera a contenuto escatologico che si sviluppa in un cappelletto invocatorio iniziale, che individua il destinatario dell'orazione, e in cinque richieste a lui rivolte dagli oranti, più due chiarimenti in Matteo. Partendo dal testo greco più antico di Matteo si riporta la traduzione in italiano:
- Padre nostro - Πάτερ ἡμῶν:
Con queste parole iniziali, Gesù manifesta la paternità di Dio ai discepoli, facendo loro dono dello straordinario legame filiale che ne consegue.
Luca riporta solamente: Padre - Abba΄ - Πάτερ.
Questi è un genitore unico, è il creatore di tutte le cose e i credenti che sono i suoi figli nella sua paternità diventano tutti fratelli. Dio, quindi, è il Padre che ci unisce nella fratellanza e in un modo particolare di amarlo e di amarci l'un l'altro, con la stessa cultura dell'amore che si chiama Cristianesimo.
Una cultura che deve passare, quindi, attraverso Gesù Cristo, giacché questa paternità ci arriva solo attraverso l'accoglimento pieno della fratellanza con Lui e con tutti gli uomini.
Mt 12,46.50 Mentre egli ancora parlava alle folle, ecco, fuori sua madre e i suoi fratelli stavano cercando di parlargli. Qualcuno allora gli disse: «Ecco, tua madre e i tuoi fratelli fuori stanno cercando di parlarti». Egli, allora, rispondendo a chi gli parlava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». E avendo steso la mano sui suoi discepoli, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chiunque, infatti, fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è mio fratello, sorella e madre». Mt 23,9: E non chiamate "Padre" (nessuno) di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste.
- che sei nei cieli, - ὁ ἐν τοῖς οὐρανοῖς·
Indica uno spazio che non è la terra e che è raffigurato come luogo che sta al di sopra di noi, nel senso spirituale e figurativo.
- sia santificato il tuo nome, - ἁγιασθήτω τὸ ὄνομά σου·
Dio, rivelandosi all'uomo, si è esposto alla blasfemia, alla bestemmia ed ai comportamenti anticristiani, noi quindi santifichiamo il suo nome. L'invocazione riprende il passo esposto in Ez. 36,23.
- Venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.
ἐλθέ τω ἡ βασιλεία σου· γενηθήτω τὸ θέλημά σου, ὡς ἐν οὐρανῷ καὶ ἐπὶ γῆς·
L'uomo, nel cui animo si è instaurata la Signoria di Dio, soffre grandemente per la mancanza di Giustizia nel mondo.
Si sente povero e afflitto, prega che i giorni della sofferenza siano accorciati.
Allora, prega affinché Dio instauri al più presto il suo Regno e così, finalmente, nel realizzarsi la sua volontà/giustizia, anche sulla terra, oltre che nei cieli, l'uomo sarà finalmente liberato dal male.
Luca non riporta la seconda parte della frase, che esprime ciò che è conseguenza della prima "Venga il tuo regno".
- Il nostro pane per domani da a noi oggi
τὸν ᾄρτον ἡμῶν τὸν ἐπιούσιον δὸς ἡμῖν σήμερον·
Non si vive di solo pane! Nella domanda, pertanto, è compreso il pane della vita, cioè Lui stesso. Per questo motivo questa preghiera è inserita nel rito eucaristico.
Bisogna, però, aggiungere che il pane non può essere una richiesta individuale è invece richiesta nostra.
Pertanto, il pane, sia esso materiale sia spirituale, è per tutti e deve essere condiviso con tutti, è la Basilea terrestre o Signoria di Dio. A nessuno sulla terra deve mancare il pane! Questo pane è per ogni giorno, oggi te lo chiediamo sufficiente anche per domani, o Dio, ma anche domani te lo chiederemo, ed esso anche domani non potrà mancare a nessuno sinché non verrà il Regno.
In tal senso si può tradurre pane "quotidiano".
- e rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori,
καὶ ἄφες ἡμῖν τὰ ὀφειλήματα ἡμῶν, ὡς καὶ ἡμεῖς ἀφήκαμεν τοῖς ὀφειλέταις ἡμῶν·
La richiesta di perdono per i nostri peccati non può essere accolta se noi non abbiamo perdonato ai nostri fratelli.
- e non ci condurre nella tentazione, ma liberaci dal male (maligno).
καὶ μὴ εἰσενέκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν, ἀλλὰ ῥῦσαι ἡμᾶς ἀπὸ τοῦ πονεροῦ.
Luca 11,4 riporta solamente "e non ci condurre nella tentazione", il significato rimane lo stesso, in quanto la seconda parte della frase è sostanzialmente esplicativa della prima. È interpretazione corrente che Dio non induca in tentazione, giacché, veterotestamentariamente, egli si limita a concedere al demonio che lo faccia, pur avendo ovviamente il potere di impedirlo, nel senso di non si muove foglia che Dio non voglia (Gb 1 a 42). Pertanto, il CEI in BJ 2008 traduce:
non abbandonarci alla tentazione, nel senso: "accorcia i giorni della prova".
Tuttavia, εἰσενέκῃς viene da εἰσφέρω che si traduce portare dentro o introdurre o proporre, pertanto, la traduzione aderente al testo, che ci costringe a scrutarne il senso attraverso il VT è: non ci condurre nella tentazione.
Preferisco condurre a introdurre o portare dentro perché ci si avvicina eufonicamente a quell'indurre a cui da secoli siamo stati abituati.
Le traduzioni non abbandonarci o la più corretta non farci entrare sono linguisticamente accettabili, ma nella semplificazione del significato fanno perdere il legane arcaico che il testo greco possiede col VT.
Questa preghiera è, ovviamente, riservata a coloro che si sono convertiti e battezzati. In Matteo, Gesù la insegnò, infatti, solo ad Apostoli e Discepoli, facendo il discorso della montagna. Luca 6,17.49, che pure riporta tale discorso, ma fatto in pianura ed alle folle, non testimonia lì il Padre Nostro, le folle, infatti, non erano ancora battezzate e convertite, e Gesù le ammonì pertanto con i guai/οὑαὶ.
Apostoli e poi i Padri della Chiesa hanno mantenuto tale uso sino ad oggi, esso è testimoniato nella Didaché, anche detta Dottrina dei dodici Apostoli, che risale intorno agli anni 60>100 d.C. ed è riportato anche dalla Patristica più antica nell'ultima delle famose ventiquattro catechesi di Cirillo di Gerusalemme (350 e.c.).
Questa preghiera fu poi inserita all'interno della Liturgia Eucaristica - Missa fidelium, battezzati.
Seguono i versetti Mt 6,14.15 con cui Gesù sottolinea e ribadisce come il Padre non rimetterà i peccati a chi non li avrà rimessi agli uomini. Completano il capitolo i versetti Mt 6,16.18 sul digiuno, che spiegano come anche questo vada fatto nel segreto col Padre affinché non se ne abbia vanto tra gli uomini.
Elemosina, preghiera e digiuno formano così la base per porsi in Agape col Padre Celeste. Tre elementi, questi, che in tutt'uno col Padre Nostro sono presenti nella Liturgia Eucaristica cattolica.
In relazione alla diversità dei due testi di Matteo e Luca possiamo spiegare quanto segue, grazie agli eminenti studi di esperti. Luca propone la forma del testo sintetico che rispecchia la determinazione gesuana di brevità e semplicità. Il testo di Matteo, invece, preferito nella liturgia, si ritiene possa essere stato ritoccato nella lunghezza in funzione di quest'ultima. Tuttavia, dall'approfondito studio del testo greco, risulta evidente che nelle parti non aggiunte esso è non solo il più antico, ma anche quello che lascia trasparire il diretto legame con il logos aramaico che Gesù parlava. Ad esempio, Matteo testimonia la parola ὀφειλήματα che può essere tradotta solo con debiti riprendendo evidentemente dall'aramaico dove il significato del termine ḥôbā᾽ poteva essere debiti ma anche peccati.Luca invece, volendo trovare il termine greco che traducesse peccati usa il termine ἁμαρτίας.
Ancora, in Matteo abbiamo: Il nostro pane per domani dacci oggi; mentre in Luca abbiamo: il nostro pane per il domani da' a noi giorno per giorno.
È evidente che Luca tenta di chiarire che il pane richiesto è per ogni giorno, cioè quotidiano.
Tuttavia, si può notare come le parole ogni giorno (o giorno per giorno) rendano superflua la precedente parola quotidiano o per il domani, avendosi sostanzialmente una ripetizione del senso come quotidiano. In tal modo si perde la forza di quella richiesta imperativa presente in Matteo: dacci oggi, dove oggi e domani si giustappongono efficacemente, nella richiesta del pane che è soprattutto quello della salvezza. Ad esso apostoli e discepoli possono accedere, ora e subito, grazie alla filiazione col Padre donata da Gesù ed accolta con la conversione e il battesimo. Anche il termine παντὶ/ad ogni in Lc 11,4 è stato aggiunto per evitare che si potesse interpretare che la remissione dei debiti/peccati potesse essere riservata ad alcuni e non a tutti. Possiamo concludere che il Padre Nostro di Matteo riporta il testo più antico nelle parti dei versetti che coincidono con quelli di Luca. Il testo di Luca nella sua forma autenticamente gesuana presenta però un testo greco che, nel tentativo di chiarire meglio il Kerygma, rimuove le tracce residuali di un precedente logos aramaico.
Considerazioni
La natura umana è fatta di elementi che si scontrano. Pertanto, gli insegnamenti di Gesù sono come la lanterna che nella notte indica la Via. Apostoli, discepoli e santi di Dio devono essere quella luce, che ben posta in alto, deve squarciare il buio nel mondo. Quello che realizziamo, però, talvolta supera la nostra volontà, talvolta, invece, ogni sforzo sembra infrangersi come l'acqua scagliata da una tempesta sugli scogli.
Pertanto, quello che conta veramente è il sentimento che è dentro di noi.
Ciò che vogliamo veramente, nella profondità del nostro cuore, conta più di ciò che riusciamo a realizzare. La qualità delle nostre intenzioni è ciò che conta veramente. In essa, infatti, si manifesta il vero nostro essere, la qualità nuda del nostro spirito.
Solo quando otterremo che lo Spirito Santo penetri in pienezza dentro di noi, anche noi, come i suoi santi, saremo perfetti e luce del mondo.
Aggiungo per chiarezza teologica che i termini piccoli/μικρῶν in Mc 9,42 – Mt 10,42 ecc., nonché semplici/νήπιοι in Mt 11,25 sono riferiti ai suoi discepoli.
Gesù recupera questi termini con cui i giudei palestinesi, colti religiosamente, ingiuriavano i suoi discepoli, e li utilizza per rimarcare che proprio di essi sarà il Regno dei cieli. Anche in Mt. 11,12 il termine violenti/βιασταὶ è riferito ai suoi discepoli perché così probabilmente li appellavano gli oppositori giudei quando entravano nei loro campi per mangiare spighe o frutti, senza neppure aver purificato prima le loro mani.
Nel passo parallelo Luca 16,16 cerca di chiarire il controverso versetto di Matteo modificandone un po' il logos.
Con l'insegnamento di Gesù trovano compimento le promesse di Dio nel V.T. in Ez 34,11.31 – Is 29,19.20 et 65,19.20.
Giunti a chiusura di questo VI capitolo, voglio rimarcare l'importanza della pratica costante della preghiera personale:
mattina, vespro e sera (Didachè 8,3).
In special modo devo raccomandare la pratica assidua della Santa messa.
In essa i fedeli trovano, infatti, ciò che occorre alla loro anima:
Il Verbo annunciato e spiegato; la comunione d'intendi con il popolo di Dio; la Confessione, un potente esorcismo che ci porta a riflettere sulle nostre azioni; la conversione a una vita santa; l'Eucaristia, nutrimento per la nostra salvezza; l'Agape con Dio attraverso il Santo Spirito; la pace interiore e con i fratelli; il riposo festoso, appagato e sereno del nostro spirito.
Poniamo, dunque, La Santa Messa a fondamento del nostro cercare e pregare Dio!
Claudio Gualtiero Maria Sala
#religionecattolica
Estratto dal Libro Trinoteuco tomo I,
Ia edizione
01-2024 Gedi Digital ISBN: 979-12-22802-70-1;
Capitolo VI – Le Sacre Scritture e l'archetipo del Regno di
Dio parte I (pag. 73>76).
Regno di Dio e Signoria di Dio
Dopo avere superato la prova delle tentazioni, Gv 2,1.12 testimonia il miracolo del vino nelle Nozze di Cana, che, svelando al mondo la natura di Gesù, fissa l'inizio della sua attività pubblica.
Gesù inizia la sua predicazione annunciando che il Regno di Dio è vicino:
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù venne in Galilea, predicando il Vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è giunto; convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,14.15). Il termine Vangelo, cui diamo il significato di buona novella o anche buon annunzio trae origine dalla traduzione in tal senso dal greco εὐἀγγέλιον, parola formata da εὖ bene e ἀγγέλλω annunzio. In ebraico vi corrisponde il termine besorāh.
Inoltre, il termine viene utilizzato anche nella forma latina Euangelium/Evangelium. Questi ultimi erano proclami imperiali o per la salita al trono di un sovrano (Cicerone, Ad Attic, II, 12) e in quanto tali, rappresentavano disposizioni che affermavano il bene comune. Con la ripresa di questo termine, probabilmente si volle dare a ciò una risposta, indicando nel Vangelo di Gesù l'unico e vero luogo dove risiedesse la vera buona notizia e la salvezza per l'intero genere umano. La frase "Il tempo è compiuto" ci pone di fronte alla certezza che non vi è altro tempo da attendere, da quell'istante il tempo è il presente per ognuno di noi. Nel tempo della nostra esistenza, ogni cosa si compie.
Il senso è questo:
Gesù, non era ancora morto sulla Croce, quindi, doveva ancora scendere negli inferi a completare l'azione di riscattato e liberazione dal peccato originale; tuttavia, sapeva che la Croce era nel suo futuro certo, avendola preaccolta con il battesimo. Pertanto, già da quel momento l'attesa è rappresentata dal tempo della nostra esistenza, da vivere come tempo della prova. Ecco perché per l'umanità "Il tempo è compiuto".
Mentre, il "Regno di Dio è vicino" giacché le porte del Regno, dalla sua morte saranno valicabili per l'uomo, che attraversando anch'egli la morte potrà in un indeterminato momento accedervi. D'altronde allontanarsi dalla Bibbia, per definire il concetto del quando, nel senso d'individuazione temporale di un preciso momento non approderebbe a nulla. Infatti, non possiamo mettere in rapporto il tempo presente, per quanto esso possa sembrarci lungo o breve, con il tempo eterno del Regno, che racchiude in sé il passato, il presente e il futuro in una forma e modalità che non possiamo comprendere. In questo senso, infatti, alcune traduzioni della Bibbia riportano il Regno di Dio è giunto anziché è vicino.
Sul Regno di Dio sì è molto discusso e scritto, ci si chiede se esso sia solo Regno dei Cieli o se si debba intendere come già presente sulla terra e in quali termini e con quali limiti.
Le teorie che si sono sviluppate anche in ambito ecclesiastico sono tante e farraginose, non è nostro compito in questo testo esaminarle approfonditamente tutte, ne daremo pertanto una breve esposizione delle più seguite:
- Un'idea Cristocentrica, risalente al teologo Alessandrino Origene 185-253 e.c., vede Gesù come il Regno in persona, che quindi non sarebbe uno spazio od un qual cosa a sé stante, ma lui stesso, in quanto Dio in mezzo agli uomini.
- Sempre da Origene deriva un'altra linea interpretativa, che vede il Regno di Dio sostanzialmente posto nell'interiorità dell'uomo come Signoria di Dio.
- Un'altra interpretazione, che potremmo definire come Ecclesiocentrica, vede Il Regno di Dio nella Chiesa e nel suo agire nel mondo.
- In periodo recente, il teologo e medico missionario tedesco Schweitzer Albert, pastore protestante a Strasburgo 1875-1965, si riavvicina ad un'interpretazione Escatologica delle scritture. Egli definisce il Regno come qualcosa a sé stante, che verrà all'improvviso e che a breve determinerà la fine del mondo attuale, interpretando in tal modo l'annuncio della sua vicinanza fatto da Gesù.
- Un'interpretazione più recente, vede il Regno di Dio come qualcosa che l'uomo deve realizzare sulla terra, attraverso la cooperazione tra gli uomini e tra le religioni, passando al Regnocentrismo. Infatti, sostengono questi teologi, le religioni e le diverse forme di divinità creano separazione; pertanto, le religioni non dovranno più fare evangelizzazione, a tutte deve essere riconosciuto un potere salvifico.
Presentate, anche se solo indicativamente, queste diverse tendenze di pensiero, possiamo ora cercare di definire con coerenza alle scritture, e nei limiti propri del nostro essere uomini, che cosa è, e dov'è il Regno di Dio. Quando, con la Bibbia fra le mani, siamo innanzi a qualcosa di apparentemente indecifrabile, ricordiamoci di questo interessante detto:
Mt 11,25.26 In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, ché hai nascosto queste cose ai dotti ed a(gli) intelligenti e le hai rivelate a(i) piccoli. Sì, o Padre, perché così è gradito innanzi a te.».
Allora, con semplicità e coerenza alle scritture, accogliamo l'annunzio di Gesù. Egli ci parla di resurrezione e di vita eterna, pertanto il Regno di cui parla non può essere di questo mondo: Lc 22,18 «poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio»; in greco: «λέγω γαρ ὑμῖν, [ὅτι] οὐ μὴ πίω ἀπὸ τοῦ νῦν ἀπὸ τοῦ γενήματος τῆς ἀμπέλου, ̉ἕως οὗ ἡ βασιλεία τοῦ Θεοῦ ἔλθῃ» (anche questo un autentico detto di Gesù testimoniato anche da Marco in 14,25).
Il Regno rappresenta, quindi, l'instaurazione istantanea di un nuovo creato, d'esclusiva creazione divina, dove i valori propri di Dio sorreggono quell'universo in assenza delle forze del male. A quel Regno si accede attraverso il mondo attuale o del presente, semplicemente accogliendo il Verbo di Dio nel nostro cuore e nella nostra mente, fondandovi in essi, e solo in essi, quella che è la Signoria di Dio. Dobbiamo dunque accettare il modo di essere del Regno di Dio nel nostro cuore, anticipando così l'appartenenza ad esso qui su questo mondo, nel senso di adesione, e non certo d'una sua concretizzazione. La Signoria di Dio deve, tuttavia, esserci concessa, da soli non possiamo ottenerla, essa è una forma di perfezione che non è propria dell'uomo. Utilizzando la potente ed efficace terminologia Paolina, e il suo insegnamento (Rm cc. 1 a 8), sintetizziamo nel seguente modo: Quando abbiamo la grazia/χάρις, attraverso la quale Dio ci ha chiamati/ἐκάλεσεν, illuminati da essa e nel libero arbitrio, decidiamo di accogliere o rifiutare il suo amore, ossia la fede/πίστις attraverso la quale noi lo troviamo.
Allora, vestendoci d'umiltà e cercando di operare nel bene, con desiderio d'amore e giustizia, rendendoci conto della nostra insufficienza, dobbiamo pregare filialmente Dio, perché ci invii lo Spirito/πνεῦμα. Esso ci aiuterà a superare le prove della legge/νόμος e della carne/σαρκ e del peccato/ἁμαρτία al fine di raggiungere lo stato di grazia di uomo giusto, nuovo che è la Signoria di Dio, vale a dire giustificazione/δικαίωσις. Infine, quelli che sono stati giustificati saranno anche glorificati/ἐδόξασεν, cioè saranno introdotti nel Regno di Dio.
Possiamo dunque dire che il Regno di Dio si realizza attraverso un atto donatorio di origine Divina χάρις che incontra un atto d'accettazione di origine umana πίστις. Regno e Signoria, sono due termini così strettamente collegati che l'uno non avrebbe significato senza l'altro. Per accedere al Regno di Dio dobbiamo seguire Gesù, non distogliere lo sguardo da lui, non smarrire la direzione:
Gv 10.9 «Io sono la porta: Se qualcuno entra attraverso di me sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo».
Mt 10,39 «Chi avrà trovato per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà». Mt 18,3.4 e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e diventerete come i fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo fanciullo, questo è il più grande nel regno dei cieli».
Tre detti straordinari, che esprimono il senso dell'esistenza che Gesù aveva e che ci trasmette, invitandoci a farlo nostro. Tutte le altre teorie ci portano lontano dalla Bibbia. Se ripensiamo alle tentazioni ci accorgiamo che tutte tendono a radicare nel cuore dell'uomo il mondo, impedendo, così, che vi si instauri la Signoria di Dio. Questa, invece, dobbiamo cercare di sviluppare in altri cuori e altre menti attraverso la diffusione del Verbo e delle opere a esso coerenti.
Nello stesso tempo, però, in quanto Dio, Gesù realizzava il Regno in quel luogo e in quell'istante, solo in quel luogo e in quell'istante del suo permanervi (Lc 11, 20 e Mt.12,28 – si veda il paragrafo sui miracoli). Così sarà anche per i santi di Dio.
Le parabole del Regno in Matteo: 13,31.33 et 13,44.50.
Mettono in evidenza la determinante azione dell'uomo nel far lievitare la parola per raccogliere poi tante anime che abiteranno al riparo del grande albero di senapa che è l'Ecclesia / Assemblea dei fedeli. Poi, dopo l'abbondante pescato i pescatori getteranno il pesce cattivo e tratterranno il buono:
ciò che l'Ecclesia avrà legato o sciolto in terra lo sarà anche nei cieli (Mt 16,19).
Il Regno di Dio è uno scrigno pieno di cose preziose o una perla, chi l'ha visto e ne ha compreso l'immenso valore cede tutto ciò che ha in cambio di esso. Infine, verranno gli Angeli, chi avrà perseverato nella Basilea entrerà nel Regno di Dio, quelli fuori finiranno nella fornace ardente.
Claudio Gualtiero Maria Sala